Si avvicina il Santo Natale e nonostante il periodo difficile, segnato dalla grave crisi sanitaria, sociale ed economica, vorremmo pensare positivo ed essere, come sempre e come si conviene alle donne e agli uomini appartenenti alle forze armate, comprensivi, equilibrati, solidali ed altruistici.
Sappiamo bene che non è il momento delle rivendicazioni salariali ed economiche, ne quello dell’interesse particolare, seppur legittime e obbligatorie.
Pensieri, parole, opere ed …….
Editoriale a cura del Segretario Generale dell’ AMUS – Aeronautica
Guido Bottacchiari
Riforma della Cassa di Previdenza delle Forze Armate: Personale dell’Aeronautica Militare figlio di un Dio minore?
Dopo aver assistito alle ultime vicissitudini e ai moniti riferiti al vicino default della Cassa di Previdenza dei Militari, una domanda sorge spontanea: perché innalzare ed unificare la quota contribRutiva a carico degli iscritti per poi differenziarne la rendita?
Perché poi incrementare la liquidazione dell’indennità a tutti tranne che alle categorie Ufficiali e Sottufficiali dell’Aeronautica Militare?
Ma andiamo per ordine.
Si avvicina il Santo Natale e nonostante il periodo difficile, segnato dalla grave crisi sanitaria, sociale ed economica, vorremmo pensare positivo ed essere, come sempre e come si conviene alle donne e agli uomini appartenenti alle forze armate, comprensivi, equilibrati, solidali ed altruistici.
Sappiamo bene che non è il momento delle rivendicazioni salariali ed economiche, ne quello dell’interesse particolare, seppur legittime e obbligatorie.
D’altronde il motto è sempre stato “usi ad obbedir tacendo….” , figuriamoci ora.
Pur tuttavia, dopo anni ed anni (oltre un decennio oramai) di blocchi salariali, contratti da fame, sottovalutazione della problematica riferita al terzo pilastro pensionistico, al pari di quello della Cassa di Previdenza e così via, la “distrazione” evidenziata dalla politica e dal Governo rispetto all’attenzione che invece il personale militare meriterebbe, rischia di far vacillare tutti i buoni propositi di compostezza e correttezza istituzionale e comunicativa.
In sintesi, la Cassa di Previdenza del Personale Militare (trattasi di un organismo unico ma con singoli patrimoni distinti ed autonomi per ciascuna categoria di personale militare presente all’ interno di ciascuna FA/CA) eroga prestazioni di natura previdenziale ad integrazione di quelle erogate dall’INPS (la pensione), occupandosi dell’indennità supplementare (per gli Ufficiali) e del premio di previdenza (per i Sottufficiali), somme che si tramutano in un ulteriore assegno di buonuscita riconosciuto al momento della cessazione del rapporto d’impiego.
Il sistema, obbligatorio per legge sin dagli anni trenta del secolo scorso, era ed è basato sul classico principio previdenziale cd “retributivo a partizione” e può essere sostenuto solo fino a quando gli ingressi dei militari in servizio sono pari o superiori alle uscite.
Avendo pertanto modificato la struttura e le Forze Armate in chiave riduttiva nel tempo, la stessa Cassa si trova oggi con i problemi di sostenibilità finanziaria degli analoghi sistemi previdenziali generali basati sul sistema a partizione retributivo.
Si impone quindi, da tempo, una revisione della disciplina della stessa, sia in termini di contribuzione (da maggiorare) che di rendimento per gli appartenenti che, lo ricordiamo, sono obbligatoriamente iscritti alla Cassa.
Nulla quaestio sul principio. Il fatto tuttavia è come attuarlo e come dare seguito al recente studio commissionato da SMD le cui risultanze sono state presentate al CoCeR lo scorso mese di novembre.
Tra le proposte illustrate, riteniamo meritevole di apprezzamento quella che propone la corresponsione dell’indennità ovvero la restituzione dei contributi versati ai cessati dal servizio senza diritto a pensione ovvero transitati in altri ruoli della PA e l’istituzione della Cassa anche per i Graduati delle FF.AA sinora sprovvisti.
Secondo lo Stato Maggiore della Difesa, per salvaguardare i fondi e garantirne l’equilibrio finanziario nel lungo termine sarebbero necessarie altre azioni, tra cui l’aumento dei contributi da versare (da portare al 3% dello stipendio percepito, fatti salvi gli appuntati dei CC che continueranno a contribuire con il 2% vista la solidità del loro fondo), l’allineamento alle tempistiche di pagamento già in atto ma diversificate tra i vari percettori e, infine, una rimodulazione dell’indennità da percepire fissata mediamente tra il 2 ed il 3% dell’ultimo stipendio annuo lordo.
Ricapitolando: aliquota di contribuzione unificata ma con distinguo e misure dell’indennità da percepire fortemente diversificate. Ma a quale scopo?
Ecco dunque la domanda che sorge spontanea. Perché unificare e chiedere eguali sacrifici in termini contributivi per poi differenziare la rendita? Perché poi incrementare la liquidazione pressoché a tutti tranne che agli Ufficiali e ai Sottufficiali dell’Aeronautica Militare?
È loro la colpa se lo squilibrio finanziario ventilato per il loro patrimonio è maggiore di quello di altri? O forse le reali colpe sono da ricercarsi in chi ha gestito tale strumento che non poteva non accorgersi che a causa del saldo generazionale di ingressi in Forza Armata fortemente negativo da almeno venti anni, la liquidità sarebbe diminuita?
Non è forse il legislatore, attraverso una ponderata attività di consulenza dei vertici militari, ad aver deciso la nuova composizione organica dell’Aeronautica nel tempo? Non sono state le scellerate scelte politiche degli ultimi 25 anni ad aver voluto affidare la gestione dei fondi nelle mani di chi non ha garantito i giusti rendimenti?
Ora, talune proposte dello Stato Maggiore Difesa sono di sicuro interesse, in parte apprezzabili, ma trattandosi di un istituto previdenziale pubblico, definito per legge e a carattere obbligatorio, come mai si sono accorti così in ritardo di questo trend negativo orami prossimo al default? Perché non intervenire, attraverso sostegni finanziari? Perché, in via prioritaria, non aver rivalutato e modificato l’assetto della governance cui non partecipano e continuano a non partecipare i militari che versano i contributi?
L’annunciato default e le misure che si vanno ad intraprendere sono a conoscenza, correttamente, dei decisori politici?
Se poi si aggiunge che, a differenza di quanto occorso in altri settori della Pubblica Amministrazione, parimenti a quello privato, sono 25 gli anni di attesa affinché venga definito l’assetto di una “reale” previdenza integrativa nel comparto Difesa, Sicurezza e Soccorso Pubblico, come previsto dalla riforma del 1995, che ha portato ad una stima di mancata contribuzione da parte dello Stato di almeno 4 miliardi di Euro (ai quali non è possibile rinunciare), ecco come viene alla luce il vero atteggiamento che la politica dimostra nei confronti dei valorosi e tanto amati militari, poliziotti e VVFF.
Sicuramente una semplice letterina a Babbo Natale riceverebbe molta più attenzione rispetto a quella negata da decenni da coloro che pare abbiano deciso che il personale in divisa non merita la benché minima attenzione.
Ora, considerato l’attivismo espresso dal Dicastero Difesa (Ministro/Vertici) su questo e su altri argomenti (quali la revisione dello Strumento Militare con un adeguamento della legge 244/2012, ipotesi di delega per un ulteriore riordino dei ruoli e delle carriere, apertura del Tavolo Negoziale per il rinnovo contrattuale triennio 2019/2021) che stanno per essere affrontati unicamente attraverso confronti diretti con il CoCeR Interforze e non anche con la partecipazione delle Organizzazioni Sindacali Militari, riproponiamo, a beneficio di eventuali smemorati, il comma 18 della sentenza della Corte Costituzionale 120/2018, che pare essere puntualmente inatteso :
18.- Con riguardo agli ulteriori limiti, invece, è indispensabile una specifica disciplina legislativa. Tuttavia, per non rinviare il riconoscimento del diritto di associazione, nonché l’adeguamento agli obblighi convenzionali, questa Corte ritiene che, in attesa dell’intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del d.lgs. n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza «le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale». Tali disposizioni infatti costituiscono, allo stato, adeguata garanzia dei valori e degli interessi prima richiamati.